28 mar 2016
Confronti fotografici nel Parco Nazionale Los Glaciares – El Calafate
Eccoci di nuovo in partenza, questa volta da Puerto Natales a El Calafate, ci spostiamo dal Cile in Argentina per raggiungere la capitale dei ghiacciai e iniziare le attività nel Parco Nazionale Los Glaciares.
La mattina seguente ci rechiamo subito nella sede amministrativa del parco per concludere le lunghe operazioni burocratiche e organizzare la logistica necessaria per raggiungere i ghiacciai. Dati gli obiettivi comuni, il parco ci conferma il pieno supporto offrendoci la possibilità di spostarci con i loro mezzi e mettendoci a disposizione alcuni guardia parco che ci aiuteranno sul campo; un aiuto indispensabile dato che tutti i luoghi prescelti si trovano in zone remote e a riserva integrale.
Stabilito un programma di massima, che sarà puntualmente modificato dalle condizioni metereologiche, decidiamo di raggiungere come prima location il ghiacciaio Upsala, il secondo più grande di tutta l’Argentina. Raggiunto il rifugio del vecchio istituto glaciologico argentino dopo aver attraversato il lago Argentino con una nave turistica, lasciamo tutti i materiali e inizio subito la ricerca del punto fotografico da cui De Agostini scattò una sequenza di 7 lastre fotografiche per comporre una delle sue migliori panoramiche. La visione del ghiacciaio è mozzafiato, la valle che lo ospita è lunga 60 km e larga 5, si vede perfettamente la trimline, ovvero i segni di erosione sulle montagne laterali dove si trovava il ghiacciaio durante la piccola età glaciale che in alcuni punti sono alti anche 500 metri! Dopo essermi arrampicato su roccia friabile per diverse centinaia di metri riesco a trovare esattamente il punto fotografico su una vetta alla sinistra del mirador, ne ho la conferma come sempre riconoscendo delle rocce a terra riprese nelle fotografie storiche. La vista dal luogo scelto da De Agostini è impressionante, vedere come una valle così grande (60 km di lunghezza per 5 di larghezza) si sia completamente svuotata dal ghiaccio in poco più di 80 anni è sconfortante.
Ovviamente ormai è sera e per realizzare gli scatti dovrò tornare qui il giorno dopo.
Purtroppo però la mattina seguente, arrivato nuovamente sulla vetta, il vento è fortissimo e non mi permette neanche di montare il cavalletto, mi riparo dalle raffiche in una piccola valle sotto la vetta e aspetto fiducioso l’orario giusto per scattare. Purtroppo però nel primo pomeriggio il vento rafforza togliendomi ogni speranza. Sono quindi costretto a rimanere un’altra notte nel rifugio per tentare il giorno dopo. Prima di scendere lascio il mio zaino fotografico con l’attrezzatura più pesante fra due rocce e chiamo con il satellitare il referente logistico del parco per rimandare tutti i trasferimenti previsti fra jeep e imbarcazioni e scendo al rifugio per prepararmi una bella cenetta.
Il giorno successivo il tempo è buono e soprattutto il vento si è calmato, raggiungo la vetta per la terza volta e aspetto l’orario giusto (circa le 3:00pm) e inizio a scattare le fotografie.
Ritornati a El Calafate ci prepariamo subito per la nuova missione prevista al ghiacciaio Ameghino e la mattina seguente partiamo con 4 guardia parco e il gommone sul rimorchio dietro la jeep. Arrivati al ghiacciaio Perito Moreno, da dove saremmo dovuti partire, sentiamo un enorme boato e capiamo subito che la diga di ghiaccio che aveva sbarrato il lago si è aperta e decidiamo quindi di restare per fotografare i crolli spettacolari. Il giorno successivo però non possiamo perdere altro tempo e anche se a malincuore decido di non fotografare il collasso finale della grotta e partiamo comunque per il ghiacciaio Ameghino.
Arrivati sotto la montagna saliamo lungo la cresta per evitare il più possibile di camminare nella fitta vegetazione, arriviamo sulla vetta dopo circa 3 ore di dura salita su un terreno sconosciuto e incontaminato.
Posiziono il cavalletto con dei grandi massi a terra per contrastare le forti raffiche di vento e ripeto la sequenza di scatti per realizzare la nuova panoramica. Anche in questo caso il ritiro del ghiacciaio è notevole, dove prima c’era una lunga lingua bianca ora c’è una valle detritica e sul fondo una laguna lunga almeno 4 km che arriva fino all’attuale fronte.
Il meteo continua ad essere buono ma il tempo a mia disposizione è sempre di meno, devo proseguire il lavoro di repeat photography anche nella zona di El Chalten sulle mitiche montagne del Fitz Roy e Cerro Torre.
Data la quantità di fotografie da ripetere al ghiacciaio Spegazzini e le ore di viaggio per attraversare il lago Argentino decido di dedicare almeno due giorni a questa nuova missione. Arrivati nel fiordo Spegazzini dopo circa tre ore di navigazione con il gommone fra onde alte 3 metri e un vento pazzesco montiamo il nostro campo base con vista sul ghiacciaio.
Nel pomeriggio inizio a salire il pendio con incontri ravvicinati poco rassicuranti, nella zona infatti ci sono tori selvatici piuttosto violenti, ma loro hanno fortunatamente più paura di me. Durante la salita con grande soddisfazione ripeto due scatti e una panoramica di De Agostini.
Il giorno seguente raggiungiamo con il gommone la base di un ripido pendio accanto all’enorme fronte del ghiacciaio Spegazzini e attracchiamo dove la vegetazione ci sembra meno fitta.
Dopo una lunga salita di 1200 metri su balse erbose inizio il lavoro di confronto fra il paesaggio circostante reale e quello della fotografia storica di De Agostini e man mano riesco a ritrovare esattamente lo stesso luogo da dove realizzo la sua panoramica. Tutto combacia perfettamente, anche le rocce a terra, il ghiacciaio data la sua conformazione non ha subito un processo di ritiro frontale molto evidente ma il suo spessore si. Quest’ultimo reso evidente dalla presenza di molte voragini aperte sul ghiacciaio dove oggi si vede la roccia al posto del ghiaccio.
Dopo aver montato tutta l’attrezzatura nonostante le fortissime raffiche di vento il tempo improvvisamente cambia e inizia una tormenta di neve che ci costringe a ripararci sotto alcune pareti rocciose. I guardia parco cominciano a farmi pressione sul voler scendere, sono preoccupati per le condizioni meteo nettamente peggiorate e il ritorno con il gommone, sono ben conscio che ci aspettano 2 ore di discesa per raggiungere il lago e almeno 3 ore di navigazione prima che faccia buio, ma la voglia di ripetere quella fotografia prevarica su tutto e li convinco ad aspettare ancora.
Dopo 20 minuti le nuvole si aprono e approfitto per realizzare un paio di sequenze in digitale con la Nikon D810, purtroppo però ora dobbiamo andare e con rammarico sono costretto a smontare la Linhof che avevo montato sul cavalletto.
Andar via da quel luogo faticosamente conquistato senza fare nemmeno uno scatto mi sarebbe costato troppa fatica, era una fotografia che sognavo da anni, non avrei però potuto aspettare oltre, il pericolo di navigare di notte sarebbe stato troppo alto, tra l’altro con l’ipotesi che sarebbe potuto finire il carburante…
On the Trail of the Glaciers Andes 2016 – Dispatch 03 from Fabiano Ventura on Vimeo.